martedì 6 aprile 2010

OUVERTURE (il primo capitolo de "L'Ottavina di Dio")

Un solo tiro. L’ultimo.
Si piegò sul panno verde, caldo come una febbre fuori stagione. Le dita si allungarono attente curvandosi a formare il ponticello.
Uno sguardo ancora al punteggio, un altro negli occhi del suo avversario. Poi solo la biglia lucida.
Il brandeggio era sicuro, la mano ferma, il corpo indifferente alla frequenza cardiaca troppo accelerata. Strinse gli occhi sul punto preciso in cui il girello avrebbe colpito. Poi tutto si fece verde, confuso dalla vista appannata: un istante durante il quale i sensi dilatati lasciavano abbandonare il suo corpo nell’incanto del nulla.
All’improvviso, ancora la biglia lucida.
E tutti i sensi tornarono vigili, i muscoli tesi, la mente già pronta al colpo in tutte le sue dinamiche. Aveva calcolato la traiettoria, cercando una velocità senza rischio; escluse il rimpallo di terza ed anche la carambola sul pallino. Il mezzo colpo lo avrebbe coperto in caso di errore sul castello e lasciato comunque in asse d’attacco sull’eventuale tiro successivo.
Ma non doveva esserci un tiro successivo.
La mascella si serrò dolorosamente e minuscole gocce di sudore si raccolsero sulla fronte con fastidiosa rapidità: avrebbe voluto sollevarsi dal tavolo, asciugarsi, ingessare di nuovo il tappo e ripensare ancora una volta il tiro. Ma ormai tutto il corpo era pronto, la stecca oscillava da troppo tempo.
Il momento era quello, solo quello… o non avrebbe mai più avuto il coraggio di colpire.
Il panno illuminato fendeva il buio circostante, in cui un’immagine a colori tenui testimoniava con discrezione la presenza del pubblico.
Ora è il momento - pensò.
E colpì. Chiuse gli occhi e sperò.
Di vincere. Di sbagliare. Oltre la ragione… di vincere.
“Sessanta. Partita, incontro.”
L’applauso esplose improvviso come una cannonata nel silenzio assoluto che aveva preceduto il colpo.
Il sudore arrivò giù. A bagnare gli occhi e confondere quelle che forse erano lacrime.



.

Nessun commento: